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Cosa significa ritualità nel cibo?

Devo ammettere che non è stato facile interpretare l’alimentazione con l’ottica del rito, ma credo che possiamo pensare di scindere il concetto di rituale a tavola in due enormi gruppi: il rito personale e il rito sociale

Tra le varie definizioni di Rito che ho trovato, credo che questa sia la più consona all’argomento cibo: comportamento costituito da una sequenza di elementi comportamentali che assume un significato specifico nella comunicazione sociale. 

Lo so, l’ho dovuta leggere anch’io 12 volte prima di capirla bene, ma il concetto della ripetitività volta a dare un messaggio è quello che il rito del cibo vuole insegnarci. 

Partiamo quindi dal concetto di rito personale. 

Prova a fare un esperimento, chiudi gli occhi e guardati dall’esterno mentre compi i tuoi quotidiani gesti a casa. Se mettessimo in sequenza diversi giorni, probabilmente vedremmo la stessa serie di movimenti. La possiamo chiamare abitudine, ma per molte cose diventa un rituale, come appoggiare il cucchiaio sempre nello stesso punto, posizionare pentole e piatti nei ripiani della cucina sempre nello sesso ordine, ordinare bicchieri e tazze come fossero in esposizione. Ti fa stare serena? Tutto regolare! Come dice la definizione, il rito vuole mettere in ordine dei gesti che ci permettono di comunicare anche a noi stessi che possiamo mettere in ordine gli oggetti, ma anche i nostri pensieri e magari interpretare meglio le nostre emozioni. 

La probabile obiezione che ti è venuta in mente, e che mi sono posta anch’io, è dove finisce il rito e inizia l’ossessione del controllo. È li che non è più rituale ma disturbo del comportamento alimentare. 

Mi rendo conto non sia facile, ma possiamo arrivare a sentirne la differenza quando capiamo quale scopo stiamo dando a quel rituale: è controllo fine a sé stesso oppure un riordino di pensieri? 

Che questo poi si rifletta sul cibo è inevitabile perchè mangiamo tutti i giorni, più volte al giorno, senza contare che le emozioni che girano intorno al cibo, alla fame, alla consolazione portata da una cosa buona, sono sempre con noi!

Il rito sociale invece è identificabile con quella serie di gesti che fai verso altre persone, che lo scopo sia trasmettere amore, che sia far presente che quella persona è nei tuoi pensieri. Prova a pensare a quelle volte in cui una mamma, per consolare o per festeggiare un figlio che ritorna, prepara manicaretti degni di una banchetto di nozze medievali. Questi sono quei gesti che intendono trasmettere sicuramente un messaggio d’amore, di coccola, di attenzione. Attenzione però, non sto assolutamente dicendo che s era tua mamma non ha mai preparato gustose pietanze per te, non ti amasse. Sicuramente il suo rituale passava per altro strumento che non fosse il cibo!

Parlando di rito però è importante separarlo dal concetto di abitudine. 

Visti dall’esterno sembrano funzionare allo stesso modo: una sequenza di gesti legati l’uno all’altro che vanno a ripetersi nel tempo e nello spazio. 

Ma il loro scopo è diverso.

L’abitudine va a mettere insieme quei gesti che facciamo con automatismo e che non richiedono concentrazione. Sono importanti le abitudini perchè ci permettono di non fare fatica anche per quelle cose che sembrano insormontabili se prese in assoluto (ad esempio cucinare dopo una giornata pesante di lavoro, programmare un menù settimanale per tutta la famiglia, cambiare la propria routine rispetto a categorie alimentari come la frutta). 

Il rito invece vuole comunicare un messaggio, che sia a in stessi o agli altri. E anche qui l’importanza è tanta, perchè la comunicazione non verbale, a volte a mezzo cibo, è più importante di tante parole.